"Sopra le righe io? ... Solo quando prendo appunti"
Catia Monacelli
 
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Catia Monacelli

critico e curatore d'arte contemporanea

Catia Monacelli è nata in Umbria a Gualdo Tadino (Pg) nel 1974, dove oggi vive e lavora. Diplomata all’Istituto Statale d’arte di Gubbio, ha conseguito la Laurea all’Università degli Studi di Perugia in Lettere Moderne con orientamento antropologico culturale. È specializzata in antropologia visuale e museale, ha conseguito i Masters in “Programmazione Neuro Linguistica” e “Management dei Beni e Servizi Culturali”. È critico e curatore d’arte contemporanea, si occupa, inoltre, di storia sociale e di movimenti migratori di massa. In Umbria è Direttore del Polo Museale Città di Gualdo Tadino che comprende il Museo Civico Rocca Flea, il Museo dell’Emigrazione Pietro Conti. Centro di Ricerca sulla Storia dell’Emigrazione Italiana, la Chiesa Monumentale di San Francesco, il Centro Culturale Casa Cajani - Museo della Ceramica e Museo Archeologico Antichi Umbri, il Museo Opificio Rubboli (www.polomusealegualdotadino.it). Già Direttore del Palazzo del Bargello e Responsabile di Area del Polo Museale Diocesano di Gubbio. È stata membro del Comitato Scientifico del Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana (MEI), di cui ne ha curato insieme ad una èquipe di ricercatori la realizzazione su incarico del Ministero degli Affari Esteri. Nel 2011 è stata insignita del “Globo Tricolore”, riconoscimento internazionale assegnato a chi si è distinto nella ricerca relativa alla storia dell’emigrazione italiana. È ideatrice e curatrice del “Concorso Video Memorie Migranti”, oggi Festival, che si pregia di un testimonial d’eccezione quale il giornalista Piero Angela; ma anche dei progetti: “Un'Impresa ad arte. Gran Galà dell'Imprenditoria Italiana”, “Kontemporanea. Profili d’artista”, “I pittori dal cuore sacro. Mostra Internazionale di Arte Naif”. Ha collaborato con la pagina della cultura del Corriere dell’Umbria e con la rivista di antropologia culturale “Percorsi Umbri”. È ospite di diverse trasmissioni di Rai International, oggi Rai Italia, dedicate ai connazionali nel mondo. Ha realizzato nell’arco della sua carriera decine di esposizioni d’arte, sia personali che collettive e collabora da diversi anni con il critico d’arte Vittorio Sgarbi, con il quale ha coordinato le seguenti mostre: “I pittori dal cuore sacro”, “Dalla terra al cielo, dal figurativo all’informale”, “Arte e follia. Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi”, “Seduzione e potere. La donna nell’arte tra Guido Cagnacci e Tiepolo”, “Luciano Ventrone. Meraviglia ed estasi”, “La stanza segreta. I capolavori della figurazione contemporanea”. E’ membro dal 2020, su incarico del Ministero dei beni e le attività culturali e per il turismo, dell’istituendo Museo dell’Emigrazione Nazionale di Genova.

signiture
"Un'opera d'arte è soprattutto un'avventura della mente"
Eugène Ionesco
 

Testi critici

 
Piergiuseppe Pesce.
Un assoluto necessario del nostro tempo.
Semiotica di un atto d'arte e di fede.
di Catia Monacelli

In CAMMINO PERENNE, sfila compatta e abbarbicata a se stessa la grande MACCHINA MISTICA popolata da Santi, Madonne e Martiri. È FERMA, eppur si muove, l’ULTIMA CROCIATA NeoPop di Piergiuseppe Pesce: l’ESERCITO DI PACE, compresso nello SPAZIO-TEMPO della chiesa ad unica navata, si dirige verso l’altare maggiore. Una liturgia dell’arte che si fonde con quella dello spirito cristiano e dell’anima dell’artista che si professa: REDENTO, CATTOLICO, CREDENTE e profondamente ispirato dalla bellezza della SANTITÁ.

Esposta nel 2006 nella Chiesa di San Carlo Borromeo a Spoleto, nel 2011 a Gualdo Tadino tra le mura imponenti della Rocca Flea, “L’ultima crociata. Il Perdono” viene oggi accolta a Gubbio nella Chiesa di Santa Maria dei Laici e cambia ancora volto e si rinnova, plasmandosi con il luogo. E c’è dialogo, infatti, tra l’architettura trecentesca della Chiesa dei bianchi, l’Annunciazione di Federico Barocci e i dipinti della volta sopra l’altare maggiore dell’eugubino Francesco Allegrini: l’istallazione di Piergiuseppe Pesce si nutre della stessa PASSIONE che animò secoli fa questi artisti, ne rispecchia e metabolizza i contenuti teatrali, ne RIPRODUCE e AMPLIFICA con forza il loro eco. Ed ecco che tutti noi, entrando nella splendida Chiesa e guardando L’Ultima crociata, il GRANDE AGGLOMERATO MISTICO DI RESINA POLICROMA che si svela davanti ai nostri occhi, non possiamo che non ri-conoscere la potenza di un ATTO D’ARTE E DI FEDE: e improvvisamente siamo lì, consapevoli o meno, IN CAMMINO. Martiri, Vergini, Santi e NOI: tutti insieme verso la REDENZIONE. L’opera di Piergiuseppe Pesce è UN ASSOLUTO NECESSARIO DEL NOSTRO TEMPO. L’autore NON HA DUBBI: chiede PERDONO e ci invita a percorrere lo stesso cammino: TUTTI INSIEME, in una rinnovata ESEGESI DELLO SPIRITO che salverà l’UOMO ed il MONDO.

 
 
Alexander Kanewsky ed il suo universo immaginario.
di Catia Monacelli

Una scia di mito pervade tutta l’opera di Alexander Kanevsky. Letterato, artista e guaritore, le sue creazioni sono dense di significati e avventurose come la fitta trama della sua vita: nato nel 1959 a Tula, in Russia, già all’età di tre anni si esprime attraverso il disegno, ad undici i primi romanzi. Si laurea all’Istituto medico di Krasnoyarsk e diventa chirurgo oncologico e guaritore naturale. Immigrato negli U.S.A. nel 1990, le sue creazioni hanno attraversato le pieghe dell’animo umano e del mondo: Italia, Inghilterra, India, Giappone, Spagna, Israele, Russia, Kenya, Svezia, Emirati Arabi e Stati Uniti. L’arte per Alexander Kanewsky è la custode indiscussa del senso profondo della vita. Donne, uomini, bestie e figure antropomorfe, raccontano le suggestive ed indicibili verità che da sempre accompagnano il cammino dell’uomo. Sentimenti di forza e fragilità emergono con profondo trasporto dalle sue tele: la meraviglia, il terrore, lo stupore, abitano i volti ed corpi contorti dei bizzarri personaggi che escono dal suo pennello e dalla sua testa. Onirica, veggente, febbricitante ed appassionata è tutta l’opera di Kanewsky, capace di rapire lo spettatore e di trasportarlo in un viaggio fantastico, dove il linguaggio fondante di antiche civiltà che raccontano la nascita del mondo, si sposa con la curiosità infinita di esplorazione dell’uomo.

 
 
Neo Japo: Katsu Ishida racconta il Sol Levante.
di Catia Monacelli

L’opera di Katsu Ishida, artista poliedrico ed eclettico, capace di lavorare con rara disinvoltura e maestria con materiali molto diversi tra di loro, come il legno, la carta e la tela, attraverso il progetto artistico “Neo Japo”, trasporta il Giappone in Occidente. Una visione del mondo che ancora prima di essere estetica è simbolica. Alla base del suo lavoro, infatti, una matrice narrativa che racconta della sua civiltà, tra memoria e visione di un universo fatto di archetipi e simbologie oniriche. Emergono dai fondi bianchi o neri labirinti di immagini che con un ritmo denso tracciano, appena accennati, volti, corpi e figure totemiche. La forza del segno e la capacità d’imprimere un ritmo quasi frenetico alla narrazione, trasportano lo spettatore dentro un viaggio sospeso tra realtà e fantasia: una sorta di vortice dal quale ci si sente inevitabilmente risucchiati. L’artista vaga sulla tela tracciando sensazioni a tratti oscure ed indefinite, a metà tra il passato ed un prossimo futuro, con la forza di chi è in grado di dialogare con la profondità dell’animo umano, di avvertire un presagio e di comunicare con altri piani di realtà che alludono ad uno stato di vertigine, smarrimento ed allucinazione. Sentimenti di forza e fragilità emergono con profondo trasporto dalle sue opere abitate da bizzarri personaggi estrapolati dalla tradizione nipponica. Ferreo invece è il rigore estetico con cui si fa portavoce della tecnica dell’inchiostro su carta di riso, secondo il sistema della scrittura orientale. Le figure rappresentate si armonizzano bene con la dimensione del foglio e i segni grafici trovano compimento in un tratto pastoso ed equilibrato. Katsu Ishida con il percorso artistico “Neo Japo” porta in Italia la bellezza dell’arte orientale, utilizzando tecniche antichissime e rileggendole con uno stile fresco ed attuale.

 
 
Oscar Piattella.
Spazio colore. Dall’estasi della vanità all’essenza.
di Catia Monacelli

Uno studio durato tutta una vita per approdare a degli esiti lontani dalle lusinghe artistiche a cui ci aveva abituato il Grande Maestro di Cantiano. Siamo, senza alcun dubbio, dentro ad un nuovo ciclo pittorico: Oscar Piattella, figlio della guerra e padre della ricostruzione, conoscitore della chimica e accorto sperimentatore, assiduo frequentatore dei linguaggi neoavanguardisti, tanto da lasciare subito un appena trovato figurativismo per un profondissimo viaggio nell’informale, e per poi cambiare, distruggere e ri-costruire ancora, sotto una luce assolutamente unica e personale, vira radicalmente direzione, con un progetto che non ha eguali nell’attuale contesto storico e artistico. Le opere presentate per la prima volta a Gualdo Tadino nella Monumentale Chiesa di San Francesco risalgono tutte al 2013: scompaiono i leganti sabbiosi, i marmi colorati e le graniglie dorate. Fanno eccezione solo quattro opere risalenti al 2011, che inneggiano ancora al recente passato, adagiate, non a caso, al di sopra dei quattro altari laterali che spuntano come rocce dal grande ambiente ad unica navata, quasi un volontario tributo dell’artista alla sua cifra più nota. Ma ecco, dopo questo guizzo, tenue segnale ancora di un’estasi della vanità, Oscar Piattella ci conduce per mano all’interno di un percorso che si traduce attraverso nuove soluzioni stilistiche, per giungere inesorabilmente all’essenza: i colori naturali sono sempre meno coprenti, pochi grammi di pigmenti annaspano nei leganti. Il colore fluido, a tratti frettoloso, si mescola, sbava e penetra tra le superfici in legno. C’è poi un dialogo armonico tra i motivi cromatici che definiscono l’opera e le linee grasse tracciate dalla matita. Alla fine tutto nel suo insieme funziona, si apre, si svela, si risolve. L’opera di Piattella narra di questo fluire, pulsare, di questo incessante movimento del nostro essere e di ciò che ci circonda, è esegesi individuale e del mondo. L’uomo e l’artista imbastiscono con la minuzia sapiente delle mani di un sarto una testimonianza che è arte e vita: le linee non demarcano, non arginano, non definiscono confini e geografie ma trasportano linfa che scorre come acqua in un solco. Gli impasti sono ridotti al minimo, il colore è una quinta sottile, una pelle trasparente, una fragile membrana che solo all’apparenza si separa dal suo supporto. Ma ancora Oscar sottrae fino ad arrivare a scarnificare il suo stesso racconto che è polpa, è vita. Anna non c’è più.

 
 
I paesaggi introspettivi di Paolo Ciabattini.
di Catia Monacelli

Rappresentare il mondo attraverso i colori dell’interiorità: gesto, respiro e leggera materia percorrono veloci le opere pittoriche di Paolo Ciabattini, in un’espressione catartica che prima di farsi ritmo e danza è quiete sottile di malinconici ricordi. Tutti i toni del blu, uniti al bianco ed alle terre illuminano le grandi campiture dei suoi racconti, che seppur nella loro sintesi astrattiva, si riferiscono ad un paesaggio reale che ha origini nell’universo interiore dell’artista. I lavori presentati in mostra esibiscono omogeneità cromatica e di tratto ed accarezzano la volontà di Paolo Ciabattini di dipingere un percorso di vita affine all’equilibrio e alla maturità. Non c’è ansietà e dramma nelle sue tele, piuttosto l’approdo risolto ad un mondo interiore che testimonia una delicata armonia tra la realtà circostante e le percezioni dello stesso artista: nel fluire calzante di questa narrazione lo spettatore è immerso come nella lettura di un racconto, che senza strappi, si snoda veloce fino alla sua conclusione. Ed è proprio in questo bisogno interiore, tutto teso a soddisfare un istinto che nega completamente qualsiasi figurazione, che per contrasto, dalla profondità della sua astrazione sembra apparire di volta in volta l’umore di tutto ciò che nel mondo ci circonda: aria, terra, acqua e cielo in un amalgama che richiama i miti fondanti dell’universo.

 
 
L’archivio Umano di Matteo Costanzo.
di Catia Monacelli

Bianco di titanio, nero di Marte e una miscela di rosso, compongono la sequenza cromatica dei dipinti che descrivono l’Archivio Umano di Matteo Costanzo che esibisce attraverso una approfondita ricerca, frammenti di narrazione sospesi tra realtà e fantasia. Composizione, scomposizione e ri-costruzione sono il fil rouge alla base di questo racconto: figure sospese in un fermo immagine, ancorate nel tempo e nello spazio, segnate da anonimi volti. Dalla fotografia d’archivio al dipinto, per fissare su tela tracce di storia: una memoria collettiva che si unisce alla memoria privata. Un rituale di passaggio per l’artista che inizia con l’accumulazione di immagini che formano il suo personalissimo catalogo: la pittura è la fase successiva, diventa un medium, la conseguenza di una lunga digestione, che soltanto alla fine si trasforma in progetto pittorico, attraverso un meccanismo di sottrazione che restituisce a chi osserva l’essenziale. Dopo un lungo e paziente lavoro, in cui ogni singolo frame, come nella pellicola di un film immaginifico, viene destrutturato e ricomposto, nella nitida immagine che emerge dalla sua pittura, fanno capolino, appena delineate, quasi abbozzate, macchie, disegni geometrici e figure, rigorosamente di color rosso, che non denunciano alcun intento narrativo, ma contribuiscono ad ancorare lo spettatore alla scena. L’opera di Matteo Costanzo è immediata, tangibile, raggiungibile: chi l’osserva è già dentro, diventa parte dell’Archivio Umano.

 
 
Riccardo Monachesi: Di Diversa Natura.
di Catia Monacelli

(…) Dai più noti cubi dall’austera geometria ai morbidi fiori dalla forma carnosa e fantastica. Tutte opere policrome in ceramica smaltata che galleggiano sospese tra lo spazio naturale dell’ampio giardino che circonda la fortezza ed i rigorosi interni dell’imponente castello. Colori accesi che raccontano un universo sognato, sperato, desiderato: un giardino segreto in cui realtà e fantasia si mescolano. E allora tutti sospesi ad osservare questa insolita meraviglia: è il fiato che esce dalla bocca in una giornata d’inverno, è la rugiada che si posa sulle foglie, è un acquazzone estivo quando tutto sa di terra. Riccardo Monachesi è artista affabulatore, le sue sculture raccontano una storia e chi le guarda non può far altro che inseguire un incanto fatto d’argilla e pigmenti colorati. Imprevedibile e quanto mai netta insieme è tutta l’opera di Monachesi che sa di viaggi nella memoria, di ricordi mai sopiti e del forte desiderio di incidere sulla realtà. Priva di decori e capricci estetici la sua arte al quotidiano finisce sempre per prediligere il sogno: i suoi lavori sono il seme di una cabala interiore che di materico hanno solo la terra che li racconta.

   
"Dipingere è azione di autoscoperta.
Ogni buon artista dipinge ciò che è"
Jackson Pollock
 

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